È la conclusione a cui sono pervenuti i giudici comunitari su una questione che coinvolge la normativa ungherese
La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda la richiesta sollevata dalla Commissione europea che contesta le disposizioni, in materia di Iva, in vigore in Ungheria. In particolare quella parte della normativa nazionale che limita il diritto al rimborso delle eccedenze di Iva. Sostanzialmente, la norma prevede l'obbligo di riportare, l'eventuale eccedenza di imposta, come credito nella dichiarazione annuale. La coattività della scelta, però, è prevista soltanto per quelle situazioni in cui il dichiarante non abbia ancora provveduto al pagamento e, quindi, al versamento della relativa Iva, della merce al soggetto fornitore.
La normativa comunitaria
L'articolo 62 della direttiva 2006/112/CE (sesta direttiva Iva) definisce cosa debba intendersi per fatto generatore dell'imposta e per momento dell'esigibilità dell'Iva. Il successivo articolo 63, precisa quando si verifica il fatto generatore e quale sia il momento in cui l'imposta diventa esigibile. L'articolo 66, invece, stabilisce quando i singoli Stati membri possono derogare a quanto stabilito nei suddetti articoli. Secondo l'articolo 90, è possibile rettificare la base imponibile dell'Iva in considerazione della misura in cui è stato effettuato il pagamento. A norma dell'articolo 167, si evince che il diritto a detrazione nasce nel momento in cui l'imposta detraibile diventa esigibile anche se gli Stati membri possono prevedere diverse modalità di esercizio di tale diritto a detrazione in un' ottica di regime opzionale. A tal riguardo l'articolo 179 aggiunge che il soggetto passivo opera la detrazione globalmente sottraendo dall'importo dell'imposta da versare l'ammontare dell'Iva per il quale il diritto a detrazione è sorto. È facoltà degli Stati membri stabilire che il diritto a detrazione possa essere effettuato soltanto al momento della cessione per talune tipologie di operazioni e, nel caso di un eccedenza di imposta, gli Stati possono far riportare l'eccedenza al periodo di imposta successivo. Infine gli articoli 184 e 185 prevedono rispettivamente la possibilità e le modalità di rettifica delle detrazioni nell'ipotesi in cui la detrazione sia superiore o inferiore a quella a cui effettivamente il soggetto ha diritto.
La legge nazionale sull'Iva
Nell'ambito della normativa nazionale la legge sull'Iva, come visto nella normativa comunitaria, procede dapprima a definire, all'articolo 55, n.1, il fatto generatore dell'imposta; mentre all'articolo 56 il momento di esigibilità della stessa. L'articolo 131 disciplina le modalità di calcolo attraverso cui giungere a stabilire se si verifichi o meno un maggiore imposta versata rispetto a quella da versare tale per cui ci si trovi in presenza di un eccedenza di imposta. In tal caso, nel punto 2, dell'articolo 131, si legge che il soggetto passivo ha la possibilità di scegliere se procedere al riporto dell'eccedenza all'anno successivo o se chiedere il rimborso nell'anno stesso di maturazione del diritto a rimborso. Il punto 2, dell'articolo 186, precisa che nel caso in cui il soggetto Iva non regolarizzi il pagamento dell'operazione che ha dato luogo all'eccedenza di imposta la norma stabilisce esplicitamente che l'imposta si scomputa dal calcolo globale col rischio di annullare o diminuire l'eccedenza di imposta stessa.
La causa principale
La questione pregiudiziale nasce da un parere motivato sollevato nei confronti dell'Ungheria in merito all'applicazione a livello nazionale della disciplina comunitaria in materia di Iva. A detta della Commissione europea, infatti, per quanto stabilito all'articolo 183 della sesta direttiva Iva viola tale norma quella disposizione nazionale che obbliga il soggetto passivo Iva a riportare a nuovo l'eccedenza di imposta se l'interessato non ha regolarizzato parzialmente o totalmente il pagamento della fornitura a cui l'Iva si riferisce. L'Ungheria ha contestato quanto, invece, stabilito dalla normativa nazionale in materia di Iva. La Commissione europea, di conseguenza, ha deciso di presentare un ricorso sfociato nella pronuncia della Corte di giustizia europea (procedimento C-274/2010).
La questione pregiudiziale
La Commissione ha chiesto ai giudici europei di pronunciarsi sulla violazione degli obblighi sanciti dalla direttiva 2006/112/CE da parte dell'Ungheria in quanto la normativa nazionale sull'Iva non consente di chiedere a rimborso ma, invece, obbliga il soggetto passivo che ha maturato una eccedenza di imposta a riportare l' eccedenza, indicandola nella dichiarazione fiscale, al periodo di imposta successivo. Tutto questo, però, soltanto nel caso in cui il soggetto passivo non abbia saldato regolarmente le forniture da cui è scaturito il credito Iva. Riconoscendo tale violazione, allora la Repubblica di Ungheria sarebbe imputabile di essere venuta meno agli obblighi statuiti dalla sesta direttiva Iva.
I rilievi delle parti
La Commissione europea, in quanto parte ricorrente, sostiene che l'articolo 186, n.2, della legge sull'Iva ungherese non è conforme alle norme comunitarie. Secondo la Commissione in base agli articoli 62 e 63 della sesta direttiva Iva, gli operatori economici sono tenuti al versamento dell'imposta a prescindere dal pagamento della contropartita dovuta per l'operazione. Pertanto, non consentendo la possibilità di chiedere a rimborso l'eccedenza di imposta versata, a causa del mancato versamento dell'Iva assolta a monte, non si fa altro che caricare sugli operatori economici un onere ulteriore che va ad aggiungersi al mancato incasso. Quanto alle disposizioni comunitarie che danno possibilità agli Stati membri di definire regole procedurali per le situazioni in cui si verifica un eccedenza di imposta, la normativa Iva ungherese contiene disposizioni che assumono un carattere sostanziale piuttosto che limitarsi soltanto in via formale alle modalità di esercizio del diritto di rimborso. La Repubblica ungherese, a sua volta, afferma che la condizione per poter usufruire del rimborso Iva, come previsto dalla normativa nazionale, non è da considerare violazione della normativa dell'Unione e tantomeno in conflitto con il principio di neutralità fiscale. Inoltre, per il soggetto passivo la mancata possibilità di richiedere il rimborso non configurerebbe affatto un onere aggiuntivo essendo tale onere compatibile con il richiamato principio di neutralità fiscale. Infine si sottolinea che, seguendo l'interpretazione del principio di neutralità fiscale, si rischia di limitare troppo il potere di scelta discrezionale conferito ai singoli Stati membri dal diritto dell'Unione.
Il giudizio della corte comunitaria
E' pacifico dal tenore letterale delle disposizioni comunitarie che i singoli Stati membri godono di una certa discrezionalità nel definire le modalità per richiedere i rimborsi al verificarsi di eccedenze di imposte versate. Il meccanismo della detrazione dell'Iva assolta sugli acquisti dall'iva incassata dalle vendite è senza dubbio un principio cardine del sistema comunitario. Come tale, il meccanismo della detrazione non è suscettibile di subire limitazioni di sorta e pertanto è opportuno che i soggetti Iva possano impiegare tale meccanismo immediatamente rispetto al momento di effettuazione dell'operazione. Secondo i giudici in alcun modo gli Stati membri possono stabilire modalità di esercizio del diritto a detrazione sì da contravvenire al principio di neutralità fiscale. Quanto al legame tra pagamento e detrazione dell'imposta sembra chiaro che dal sistema delineato dalla sesta direttiva Iva, l'Iva diventa esigibile e il diritto a detrazione sorge indipendentemente dalla effettiva corresponsione, Iva compresa, dell'importo dovuto per l'operazione eseguita. Ne consegue che il pagamento del corrispettivo dovuto per l'operazione ai fini Iva non costituisce una modalità, in base a quanto indicato dall'articolo 183 della direttiva 2006/112/CEE meglio conosciuta come "La sesta direttiva Iva". I togati comunitari hanno accolto la richiesta della Commissione europea. Frutto di tale accoglimento è la censura della normativa nazionale oggetto della controversia. In altri termini, tale disposizione, sentenziano i giudici, non è conforme con quanto stabilito dalla normativa europea di riferimento. Infatti non è possibile imporre l'obbligo di riportare nel periodo di imposta successivo l'eventuale eccedenza di Iva senza poter chiedere il rimborso di tale eccedenza nell'anno di maturazione della stessa. Riporto all'anno successivo la cui condizione sine qua non è la circostanza per cui il dichiarante non abbia ancora effettuato il pagamento dovuto per l'operazione in causa.